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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 10 aprile
#1
Angelo Corti
[Immagine: 139014843015699CORTIANGELO.jpg]
Nato ad Albavilla (CO) il 10 aprile 1944. Professionista nel 1969 senza ottenere vittorie.
Un comasco sorridente e col piglio degli ottimi corridori, perlomeno fino a quando militò fra i dilettanti. Già, perché vincere, come vinse lui, fra le altre corse, la Milano Rapallo, il Giro del Piave e il Piccolo Giro di Lombardia, significava davvero avere competitive credenziali per poter passare con qualche ambizione fra i professionisti. Ed il passaggio si concretizzò con la Griss 2000, nel 1969, quando Corti aveva già 25 anni. Forse un po' troppi e forse giunti con qualche pila scarica oltre lo scontato. Fatto sta, che il sorridente comasco, dopo buone cose fatte vedere in primavera, in particolare alla Sassari-Cagliari e dopo un buon Giro d'Italia, chiuso al 46° posto, con un bel 4° nella frazione di San Pellegrino, non riuscì a decollare. Non andò neanche male, ad onor del vero, perché in estate finì 11° nel sempre duro Giro dell'Appennino e nel finale di stagione chiuse 27° il "Lombardia". A fine anno la Griss 2000 chiuse i battenti, ed Angelo fece emergere il suo pragmatismo, non dannandosi per cercare l'accasamento. In sostanza, aveva capito abbastanza di un mondo che non gli avrebbe potuto dare le certezze che cercava e preferì chiudere così.

Rudy Dhaenens (Bel)
[Immagine: 16409423861325Dhaenens,Rudy.jpg]
Nato a Deinze il 10 aprile 1961, deceduto ad Aalst il 6 aprile 1998. Passista veloce, Professionista dal 1983 al 1992 con 15 vittorie.  
Poche vittorie, una carriera accorciata, anche se di poco, a causa di problemi fisici, nessuna classica primaria nel suo ruolino, ma ha vinto un mondiale. Uno dei diversi iridati come meteora o significativi della tendente aleatorietà della prova iridata unica? Niente di tutto questo. Nella storia del ciclismo iridato, corridori senza curriculum di spessore giunti all’iride, prima e dopo Dhaenens, ce ne sono stati abbastanza, per dire che il corridore di Deinze, non è fra gli ultimi, ed ha meritato attenzioni che giustificano e rendono dignità al suo Titolo. Dietro il Campionato del Mondo vinto ad Utsonomya nel 1990, ci sta un lustro di protagonismo, di piazzamenti significativi, da uomo possibile per diverse classiche. Ci stanno valori da spalla importante. Tutti aspetti che l’osservatorio ciclistico, dovrebbe imparare meglio e smetterla di fare del secondo arrivato, lo sconfitto per eccellenza, o la posizione meno ambita, o colui che viene sistematicamente bypassato. Questo atteggiamento è davvero brutto, se si guardano gli altri sport e giustifica chi, come chi scrive, giudica la dittatoriale ed idrovora UCI, come il di gran lunga peggiore, fra i massimi enti mondiali delle discipline sportive.     
Rudy Dhaenens, nacque come l’80-90% dei belgi, con la passione ciclistica siamese. Iniziò presto a correre e cimentarsi, sia su strada che su pista, con buoni risultati, anche se non eclatanti. La sua fu una crescita costante, con tre Titoli del Belgio su pista, una corsa a tappe come il Tour Eurométropole e due frazioni importanti del Giro delle Fiandre riservato ai dilettanti. Una tangibilità che lo portò al professionismo nel 1983, in seno alla Euro-Shop–Mondial Moquette–Splendor, dove l’emergente era il già 26enne Claude Criquielion. Nella prima stagione, per Rudy, qualche piazzamento e “l’assaggio” al Tour de France, dove si ritirò alla decima tappa. L’anno seguente portò l’iride al compagno Criquielion e, per Dhaenens, fu denso di significati: ruppe il ghiaccio con la vittoria ad Eeklo, indi un crescendo di importanti piazzamenti, come il 3° posto al Tour di Lussemburgo, il 4° all’Amstel Gold Race, l’8° alla Gand-Wevelgem, il 12° alla Parigi-Roubaix e al GP de l'E3 à Harelbeke, il 16° nel Giro delle Fiandre, ed il 18° nel GP della Schelda.
S’era determinato passista veloce, con spiccate propensioni verso il pavé, ed era bravo, molto bravo, nel gioco di squadra. Il 1985 fu una sorta di consacrazione: 3° alla Gand-Wevelgem, 3° nel Campionato del Belgio (che, fra i campionati nazionali e l’unico ad essersi determinato nella storia come una classica aggiunta), 5° alla Parigi-Roubaix e, fra le tre corse vinte, un buon traguardo come l’Omloop Mandel-Leie-Schelde. L’anno seguente arrivò alla “Roubaix” col chiaro intento di completare la sua crescita nella classica e di arrivare perlomeno sul podio. Quella del 1986 fu una Parigi-Roubaix anomala: per motivi di sponsorizzazione, l’epilogo non si sarebbe consumato sul divenuto celebre velodromo, bensì su un rettilineo nelle vicinanze, davanti al supermercato la cui proprietà, aveva voluto tutto questo. Alla luce di quel che si vide nello sprint che decise la classica, a rimetterci per quell’insolito arrivo, fu proprio Rudy Dhaenens, che arrivò secondo in mezzo a due ruote molto veloci, come quelle dell’irlandese Sean Kelly, vincitore, e dell’olandese Adri Van der Poel, terzo arrivato. Un arrivo al velodromo, infatti, si sarebbe adattato meglio a Dhaenens, che della pista era un frequentatore pure titolato. Il corridore belga, si consolò conquistando, nell’anno, 4 bei traguardi, soprattutto il 14 luglio, facendo sua la decima frazione del Tour de France da Poitiers a Bordeaux. L’anno successivo, fu nuovamente protagonista alla Parigi-Roubaix. Trovò la fuga giusta, quando, ad una quarantina di km dal termine, si determinò al comando un quartetto di belgi, di cui Rudy era probabilmente il più veloce. Una decina di chilometri dopo, un fuggitivo, Jeff Lieckens, cadde pesantemente. I tre al comando sentirono la mancanza del caduto, mentre dietro partì al loro inseguimento, un autentico fuoriclasse come Eric Vanderaerden, il quale a cinque chilometri dal termine, dopo aver rosicchiato ai battistrada quasi due minuti, li raggiunse. Rudy come lo vide arrivare, s’abbatté psicologicamente, evidenziando, probabilmente, quella che era la sua carenza maggiore. La volata non ebbe storia vinse Vanderaerden e Dhaenens, fu anticipato pure da Versluys, uno che si dieci sprint lo avrebbe battuto solo una volta. Insomma, sul pavé, Rudy Dhaenens si confermò uno dei primissimi del mondo, anche se aggiunse solo il gradino basso del podio. Nel 1988 passò alla PDM, uno squadrone dove fu costretto ad incentivare il suo ruolo di frequente spalla. Continuò a piazzarsi, anche se in maniere meno evidente. L’anno successivo dopo una primavera meno importante a causa dei maggiori lavori di squadra, si trovò nella condizione ideale per vincere la Luchon-Blagnac, decima tappa del Tour de France. A tre chilometri dal traguardo con un bel gesto da finisseur, guadagnò un centinaio di metri. Ad un chilometro dal termine, il vantaggio era ancora immutato, ma ai meno 600, entrò forse troppo veloce nella curva che immetteva sul rettilineo d’arrivo e gli scivolò la ruota posteriore, rendendo inevitabile una pesante caduta: addio vittoria!  
Il 1990 fu il grande anno di Rudy. Già in primavera si vide che c’era un Dhaenens d’annata, con piazzamenti notevoli e ruolo di contendente in Coppa del Mondo. Al Giro delle Fiandre finì 2°, l’unico a tenere fino agli ultimissimi metri, uno strepitoso Moreno Argentin, che non era mai stato così forte sul pavé. Fu poi 4° nella Liegi Bastogne Liegi, 9° nella Parigi Roubaix, 10° nella Gand Wevelgem, 13° nell’Amstel Gold Race, indi, in luglio, 3° nella Wincanton Classic, gara di CdM (che chiuse 2° dietro Gianni Bugno) e 8° nel Gran Premio delle Americhe. Arrivò poi, il gran giorno del primo Campionato Mondiale nel Sol Levante, precisamente a Utsonomya. Qui, Rudy scappò dopo una fuga annullata, assieme a Gayant, Lauritzen, Leanizbarrutia e De Wolf. La squadra italiana così divisa fra Bugno e Chiappucci, in quella giornata di sole torrido, si sobbarcò una grande fatica nell’inseguimento dei battistrada e quando sul Monte Kogashi, il ricongiungimento appariva cosa fatta, Dhaenens attaccò in contropiede, assieme a De Wolf. I due belgi andarono al traguardo e nella volata finale non ci fu storia: Rudy, era il nuovo Campione del Mondo! Bugno, LeMond, Kelly e Jalabert, arrivarono nell’ordine dopo otto secondi.
Nel 1991 Dhaenens portò in dote alla Panasonic la sua maglia iridata e cercò di difenderla al meglio. Purtroppo qualche malanno lo infastidì. Nell’anno il successo migliore lo ottenne in pista, vincendo la Seigiorni di Anversa in coppia con lo specialista Etienne De Wilde. Nella primavera del 1992, iniziò a sentirsi strano sotto sforzo. Fece in tempo a chiudere, in condizioni ben lontane dall’ottimale, al 13° posto il Giro delle Fiandre, ma ai primi di giugno gli riscontrarono problemi cardiaci che consigliavano il ritiro. E così fu. Divenuto commentatore tecnico per l’emittente televisiva Eurosport, il 5 aprile 1998, si stava recando in automobile a Meerbeke, per commentare il Giro delle Fiandre, quando, per motivi mai chiariti, uscì di strada nei pressi di Aalst, andando ad impattare contro un pilone. Trasportato con urgenza al vicino ospedale, fu operato, ma dopo poche ore, spirò. Aveva solo 37 anni.
Tutte le sue vittorie. 1984 - Splendor-Marc (1): GP Eeklo. 1985 - Hitachi-Splendor (3): Mandel-Lys-Escaut a Meulebeke, Druivenkoerse a Overijse, GP Hannover (dietro derny). 1986 – Hitachi (4): 11a Tappa Tour de France, 1a Tappa Tour du Luxemburg, Mandel-Lys-Escaut,Critérium de Quillan. 1990 – PDM (5): Campionato del Mondo su strada, 2a tappa Vuelta a Asturias, Critérium di Berlino, Critérium de Tongres, Gp Oostrozebeke. 1991 – Panasonic (2): Seigiorni di Anversa (con Etienne de Wilde), Critérium d'Eeklo.

Pietro Partesotti
[Immagine: 1206707064PARTESOTTI%20Pietro%20-%202.jpg]
Nato a Reggio Emilia il 10 aprile 1941. Passista scalatore. Professionista dal 1963 al 1969, con una vittoria. Un personaggio tanto verace quanto umile nel vivere la sua carriera da gregario, con qualche significativa licenza. Un compagno affidabile per quegli illustri capitani che lo hanno avuto come spalla, a volte così fedele al ruolo da sfiorare le pagine del libro Cuore.
Dopo essere stato un buon dilettante, esordì con la Lygie di Vito Taccone nel 1963 a 22 anni. Fu subito bravo perché nel Giro d’Italia che il suo capitano incise con la vittoria in quattro tappe consecutive, Pietro, pur facendo il suo lavoro riuscì a piazzarsi al 19° posto. Anche l’anno successivo il suo trend non cambiò: tanto lavoro e qualche giornata in cui pur potendo giocarsi le sue carte il pensiero ai suoi compagni faceva capolino. Chiuse il Giro al 34° posto inseguendo spesso il gruppo, dopo furtivi rifornimenti al bar per togliere la sete ai suoi più prestigiosi compagni di squadra. La sua bravura e disponibilità non passarono inosservate e così nel 1965 la già grande Salvarani gli aprì le porte e lui rispose come meglio non si poteva. Al Giro aiutò alla grande Vittorio Adorni nella sua cavalcata rosa e poi inserito nella squadra per il Tour fece altrettanto per la conquista della maglia gialla da parte di Gimondi. Insomma, nlla sua umiltà, Pietro Partesotti è uno dei non certo tanti che si possono fregiare del significativo titolo di coequipier d’oro, avendo nello stesso anno curato l’arrivo al successo d’un compagno nel Giro e nel Tour. Finalmente, nel 1966 in una girnata di libertà ottenne quel successo personale che poi rimarrà unico: accadde a Ceprano, in una prova del Trofeo Cougnet. Continuò la sua strada di gregario fino al 1969 sempre fedelissimo alla Salvarani.  A fine carriera ha lavorato alle dipendenze delle Farmacie comunali di Reggio Emilia, mantenendo nel ruolo la medesima devozione e senza perdere occasione di raccontare aneddoti e inediti della sua epopea ciclistica. Un pedalatore onesto in tutto.

Paul Seye (Bel)
[Immagine: 1302423075SEYEPaul.JPG]
Nato a Gand il 10 aprile 1944. Passista veloce. Prof dal 1966 al 1968, senza vittorie su strada. Un esempio di come il ciclismo, al pari di ogni disciplina sportiva, abbia delle regole nascoste, sulle quali la determinazione apparente, può essere stravolta per un insieme di mancanze che vanno a fungere da goccia scatenante in negativo, pur su una base favorevole. Paul Seye, da buon belga poteva sviluppare sul ciclismo, sport nazionale, i suoi valori di atleta, un vantaggio, dunque. Parimenti, un'altra situazione positiva nell'aver affinato l'acquisizione della disciplina, attraverso la sua versione più scientifica, la pista. Terzo aspetto favorevole, un buon talento: non da fuoriclasse e nemmeno da campione in grado di incidere, ma certamente da corridore in grado di sviluppare una carriera d'evidenza. Fin qui i "più", ai quali sono da aggiungere quei "meno" che si sono determinati dalla disamina fedele della sua carriera e che alla fine prevarranno. A 19 anni, nel 1963, Seye vince, fra i "puri", il campionato nazionale nell'inseguimento, ma è incerto sul da farsi: vede nella crescita del vicino olandese Groen, come un esempio di impossibilità per i vertici e l'anno dopo, nella medesima specialità, si fa battere dal connazionale Vrijders. Decide così di passare al "km con partenza da fermo" e, nel 1966, vince il campionato belga di questa prova. Un titolo che viene impreziosito da altri due: nell'omnium e nell'inseguimento a squadre. Ai mondiali di San Sebastian, finisce 2° nel "km", ma a batterlo è un fenomeno: Pierre Trentin. Seye però, non capisce che sta crescendo e che non tutti si chiamano Trentin o Groen, e che fa? Passa subito prof e pensa alla strada, sentendosi chiuso su quella pista, nella quale il Belgio s'inchinava a Sercu. Senza far tesoro di sé, esordisce come quasi tutti i connazionali nell'Het Volk, e qui s'arrabbia per essersi fatto sfuggire la fuga buona, che porterà il compagno di squadra Vekemans alla vittoria. Disprezza il suo 28° posto e 20 giorni dopo, nella semi-classica Harelbeke-Poperinge-Harelbeke, pensa di verificare appieno le proprie possibilità. È solo alla 2a corsa fra i prof, ma lui la vede come un fulcro. La gara si dipana durissima per il tempo inclemente. Paul, nella foga, sbaglia i tempi di attacco e si ritrova fuori della fuga decisiva, si demoralizza e vede il 24° posto sui 30 arrivati degli 89 partenti, come un fallimento. Si lascia andare, corre poco e aspetta una prova "facile" per verificarsi definitivamente. Il criterium di Gentbrugge a due passi da casa, è l'ideale. Spinto dagli applausi, da il meglio, ma anche se la prova verte sui 120 km, nel finale annaspa per il poco allenamento e quando si vede superare da un vecchietto come il coequpier Van Meenen, si sente un ex. Finisce 5°, ma per lui è 500°. La Goldor non lo conferma e Paul stacca la licenza come isolato, ma non corre più.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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